SerieTV: Vikings #4a

Dicono che, nel momento della morte, l’uomo riesca a vedere la propria vita scorrere davanti agli occhi, in una sorta di recap nostalgico e macabro. Immaginate di poter dilatare quel momento e vivere attimo per attimo gli ultimi istanti della vostra vita, consapevoli che la Signora in Nero sta per farvi visita; anzi, è sulla soglia di casa e osserva, restando in attesa.
Tutti stiamo morendo, questa è la verità più sconcertante e banale in cui è possibile imbattersi. La morte fa parte della vita e respirare, camminare, parlare, divertirsi, sognare, sperare, sono azioni che si compiono con la consapevolezza che la Signora in Nero verrà, seppur alla fine. E se questa fosse dietro l’angolo? Se la Morte vi chiamasse annunciando la sua visita per l’ora del tè, come vivreste le ore che vi separano dalla fine?

Ci siamo, il momento di svolta è giunto. O forse no? Vikings, serie tv andata in onda su History Channel tra il 2013 e il 2021 e trasmessa in Italia da Tim VisionRai4 Amazon Prime, prepara lo spettatore a dei grandi cambiamenti e lo fa con una quarta stagione da ben 20 episodi. Ricordiamo che la serie di History ha all’attivo 6 stagioni da 10 episodi l’una, con quarta, la quinta e la sesta che si sdoppiano in A e B; per un totale di 89 episodi da 45 minuti.

Se gli autori volevano far assaporare desolazione e tristezza allo spettatore, con il quarto capitolo di Vikings ci riescono di certo. Al contrario, se l’obiettivo era quello di svecchiare una trama affossata dagli inspiegabili colpi di scena (o di testa) della passata stagione, allora l’intento è miseramente fallito.
Il momento della svolta arriva sempre e nonostante Vikings ne abbia affrontati diversi (il passaggio dalla trama d’avventura a quella politica in primis), lo spettatore chiede uno sforzo in più e viene parzialmente accontentato. Giunti a questo punto, dopo l’inutile disfatta di Parigi e l’ingresso nel cast di new entry fulminee quanto mai deboli, la produzione capisce che c’è bisogno di un cambio di rotta vero, che non sia quello relativo alla bussola di Ragnar Lothbrok. Gli accordi con i regnanti inglesi impongono di guardare altrove, ma quando i vichinghi arrivano in Francia, l’odore fetido del tradimento e della morte ha la meglio su tutto. E via con i soliti meccanismi: Floki che costruisce navi, Lagertha che si immola per la causa e Rollo che tradisce Ragnar, alleandosi con l’imperatore Carlo e sposando la nevrotica Gisla (Morgane Polanski, figlia di Roman Polanski), che da brava principessina timorata di Dio, disprezza gli invasori e sputa nel piatto nel promesso sposo. Un carosello già visto, che al di là dei protagonisti coinvolti, racconta sempre la stessa storia. E le novità?

La quarta stagione di Vikings non offre alcuna novità, se non lo scorrere del tempo (apparentemente limitato) del protagonista assoluto: Ragnar Lothbrok. Dopo l’omicidio di Athelstan, la fine dell’amicizia con Floki, la sconfitta subita a Parigi e la perdita di Rollo, che stavolta sembrerebbe essere definitiva, il conte di Kattegat appare profondamente segnato dagli eventi. La scoperta delle terre inglesi ha portato ricchezza al popolo norreno e nel caso specifico, Lothbrok ha smesso le vesti dell’umile contadino per indossare quelle del re del nord: eppure, la serie mostra un uomo in difficoltà e non un guerriero alla ricerca di gloria e ricchezze. Le visioni causate dalla medicina di Yidu, il senso di smarrimento, il dolore per aver perso Lagertha, Rollo, Floki e Athelstan, ma anche l’allontanamento da Aslaug e il viscerale attaccamento di lei al piccolo Ivar Senz’ossa: tutto sembra ricordargli che i sentimenti umani non sono concessi ai re e che quindi, la sua sofferenza non può essere condivisa. Con la complicità del buon Travis Fimmel, interprete di Ragnar, gli autori mostrano in maniera magistrale il malessere e la solitudine del protagonista e riescono ad appesantire sia la serie che lo spettatore stesso, che soffre inevitabilmente con lui. C’è aria di fine.

Stessa sorte, seppur diversa, per i co-protagonisti Rollo e Floki, ormai alla deriva.
La produzione dimostra ulteriormente di non avere piani a lungo termine per il fratello di Ragnar, se non quello di parcheggiarlo in via definitiva in un angolo di felicità rimediato all’ultimo secondo. La natura guerriera di Rollo si affloscia davanti ai ghirigori barocchi della corte di Francia, in nome di un inspiegabile amore per una principessa che lo disprezza fino alle viscere, salvo poi innamorarsene alla follia. Ci si trova di fronte a una trama secondaria imbastita male e realizzata peggio, in maniera del tutto sbrigativa e incoerente, che non tiene conto né della natura del personaggio, né del suo background. Inoltre, il comportamento bipolare Gisla non fa altro che alimentare la convinzione che lo sviluppo di trama che coinvolge Rollo non sia altro che una morte dorata del personaggio, che si appresta quindi a lasciare Vikings in maniera definitiva.
Floki, invece, seppur saldamente ancorato al cuore dei telespettatori, è solo lo spettro della buona spalla che era. Possibile che l’affievolirsi di un’amicizia (quella di Ragnar) sia così devastante da indurre all’omicidio e alla follia? Forse. Ogni animo ha la propria sensibilità e nonostante la bontà che lo aveva caratterizzato in passato, Floki è stato presentato da subito come un genio un po’ folle: lo spettatore non è sorpreso dalla sua attuale pazzia, ma solo tanto deluso. Gli autori avevano dato l’illusione che per l’animo fragile e insicuro di Floki ci fosse una sorta di pace beata, con accanto Helga (Maude Hirst) e la piccola Angrboda, ma la necessità di scuotere lo show è stata più forte della giustizia televisiva: lo sterminio della famiglia di Floki sembra essere l’anticamera della deriva del personaggio, mai così radicale e pericolosa.

Malgrado il triste viale del tramonto che lo spettatore attraversa al fianco di Ragnar e nonostante la delusione per la fine ingloriosa di Rollo, Floki e Lagertha (che rimbalza da un angolo all’altro della trama, nella speranza di una svolta), la soddisfazione vera e propria arriva dai personaggi secondari.
L’alleanza tra la principessa Judith e re Ecbert è l’esatta rappresentazione dell’amore malato, ma sincero, tra maestro e allieva: i due stringono un legame imprescindibile, fondato sulla complicità, la devozione e l’arricchimento reciproco, dove il sesso non è “il torbido fulcro” ma “la perfetta quadratura” di un cerchio impossibile da spezzare. In un mondo parallelo, il rapporto di Ecbert e Judith non sarebbe potuto essere diverso da quello che è nella realtà: l’amore viscerale tra due menti deliziosamente affini.
Infine, il primogenito di Lagertha e Ragnar, Bjorn, appare sempre più come il predestinato e vista la dipartita narrativa di Rollo e l’ascesa mistica di Floki, nessuno sembra avere la tempra del Lothbrok originale, se non suo figlio. Eppure, c’è qualcosa che stona nel personaggio di Bjorn: in lui c’è una leggerezza che non appartiene a Ragnar e sebbene sia impossibile chiedere spessore emotivo a un vichingo (questione che la serie History descrive assai bene), ci si aspetta maggiore profondità da colui che pare dover ereditare il ruolo di protagonista assoluto.

In conclusione, al di là dei giochi di potere di inglesi e francesi e oltre gli intrecci sentimentali un po’ forzati, usati quasi come riempitivo, la quarta stagione di Vikings non offre nulla di indimenticabile, se non l’amara consapevolezza che tutto ciò che era noto e amato stia ormai per finire.

Sara C.

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