Serial Killer: Il mostro di Firenze #5

La storia che state per leggere è una delle più spaventose. Di sicuro, la più terribile tra quelle successe in Italia. Vi verrà narrata come uno di quei racconti agghiaccianti alla Edgar Allan Poe, oppure, come farebbe il più contemporaneo Carlo Lucarelli. Proprio per questo motivo, non verrà seguito l’ordine cronologico dei fatti. Per l’argomento trattato e il materiale riportato, si sconsiglia la lettura a un pubblico impressionabile.
Quarta parte

Primo omicidio: Lo Bianco – Locci

Estate 1982.
Il mostro di Firenze (così è stato battezzato dalla stampa) ha ucciso quattro volte: Giovanni Foggi e Carmela De Nuccio, Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini, Stefano Baldi e Susanna Cambi e infine, Paolo Mainardi e Antonella Migliorini. Tutte coppie in camporella.
La Toscana è nel panico e l’Italia resta a guardare, attonita. Si insinuano paure, cambiano le abitudini e gli inquirenti, che brancolano nel buio insieme al procuratore Silvia Dalla Monica, vedono spirare l’ultima speranza di fermare il massacro nel momento in cui Mainardi, unico sopravvissuto alla furia omicida del mostro, muore in ospedale dopo esservi arrivato già in coma profondo. Poi, la svolta: il commissario Francesco Fiore o il giornalista Mario Spezi su “La nazione” indicano una via che porta molto lontano; che fa tornare indietro al 1968.

La storia

Anni ’50.
Stefano Mele arriva in Toscana dalla Sardegna. Ha seguito la sua famiglia e grazie a questa, trova subito lavoro come manovale: la vita sull’isola è difficile, perché la pastorizia non permette più di vivere in maniera dignitosa. Mele è un ragazzo gracile, magro, che difficilmente alza la voce o sa imporsi sugli altri, ma ha voglia di fare ed è una persona semplice.
Si sposa con Barbara Locci, che ha 16 anni in meno di lui e che si dimostra da subito più scaltra e senza morale: dopo il trasferimento a Signa, infatti, la ragazza ha relazioni sessuali con molti uomini, di cui quattro o cinque fissi. Nel 1961 nasce Natalino, primo ed unico figlio della coppia.
Qualche anno dopo, a causa di un tamponamento in motorino, Stefano Mele incontra Salvatore Vinci: i due diventano amici e l’uomo diventa l’amante ufficiale di Barbara Locci, che lo segue nel sesso di gruppo e nei giochi erotici. In paese si vocifera che Stefano Mele sia così remissivo da partecipare alle orge della moglie e dell’amico e che, addirittura, gli porti il caffè a letto dopo il sesso. Barbara Locci, però, intraprende anche nuove relazioni, tra cui quella con Carmelo Cutrona e Francesco Vinci, fratello di Salvatore: questa dura fino all’agosto 1968, quando la donna inizia a frequentare Antonio Lo Bianco.

E’ il 21 agosto 1968, mezzanotte.
Barbara Locci, Antonio Lo Bianco e Natalino stanno uscendo dal cinema, dove sono andati a vedere “Nuda per un pugno di eroi”, un film vietato ai minori. Secondo la commessa, dietro ai tre c’è un uomo che sembra seguirli.
La coppia e il bambino salgono sulla Giulietta bianca di Lo Bianco e si dirigono verso il cimitero di Signa, a qualche chilometro di distanza. Il bambino si è addormentato sui sedili posteriori e Locci e Lo Bianco hanno un rapporto sessuale, interrotto dagli spari che uccidono entrambi.

E’ il 22 agosto 1968, ore 02.00 del mattino.
Il signor De Felice sente bussare alla porta e una volta aperto trova un bambino, scalzo e assonnato, sull’uscio: “Aprimi la porta perché ho sonno e ho il babbo ammalato. Dopo mi accompagni a casa perché c’è la mi’ mamma e lo zio che sono morti in macchina”.

I fatti

E’ il 22 agosto 1968, ore 06.30.
Il magistrato chiude il verbale del sopralluogo. A 100 mt dal bivio di Comeana, la Giulietta Alfa Romeo 1600 bianca di Antonio Lo Bianco è parcheggiata con la freccia destra accesa e lampeggiante. Lo sportello posteriore destro è socchiuso, mentre i finestrini del lato sinistro sono semi aperti. Sul sedile posteriore, la borsa della donna, aperta e in disordine.
Barbara Locci è al posto di guida, mentre Lo Bianco è sul lato passeggero: dalla disposizione degli abiti e da come questi sono indossati, sembra che i corpi siano stati rivestiti. Locci è stata raggiunta da 4 colpi: 1 alla spalla sinistra, 2 al torace e 1 nella regione lombare; sul collo l’abrasione dovuta allo strappo della catenina poi rinvenuta nel campo. Anche Lo Bianco ha ricevuto 4 colpi: 3 al braccio sinistro e 1 sull’avambraccio sinistro.

Natalino Mele racconta: “Era buio, tutte le piante si muovevano, non c’era nessuno. Avevo tanta paura. Per farmi coraggio ho detto le preghiere, ho cominciato a cantare la tramontana… La mamma e’ morta, e’ morto anche lo zio. Il babbo e’ a casa malato“. La sua testimonianza viene registrata, ma gli inquirenti sono dubbiosi: in un omicidio simile, la parentesi riguardante Stefano Mele era del tutto fuori luogo. Quasi una forzatura.

Per l’omicidio di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco venne condannato Stefano Mele, che portato sulla scena del delitto per ricostruire la vicenda fece addirittura perdere gli inquirenti nei boschi. Nell’indagine entrarono anche Francesco e Salvatore Vinci, che a momenti alterni furono indicati dal Mele come complici e/o esecutori materiali del delitto. A loro viene imputata la proprietà della pistola, mai ritrovata: una Beretta calibro 22 che spara proiettili Winchester serie H.
Natalino Mele, affidato agli zii, nel tempo ritratterà varie volte la sua versione: prima dicendo di essere stato prelevato dal padre dall’auto di Lo Bianco e poi dallo zio, Piero. Alla fine dirà di non ricordare più niente.

Estate 1982.
Al momento dei delitti del mostro di Firenze, Stefano Mele è ancora in carcere.

Sesta parte

Sara C.

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