Quando amo qualcosa devo allontanarla. In me cresce una paura animale, che sale dalle viscere; ossia, essere guardata per ciò che sono e non per ciò che sembro: la prima impressione è positiva ogni volta, ma poi c’è la seconda, la terza, la quarta… e le fragilità vengono a galla. L’inquietudine, la paura, la voglia di essere abbracciata e tenuta stretta nonostante intorno ci sia un muro invisibile e invalicabile. Mi aiuta; ma non a proteggermi, bensì a sopravvivere alla mia stessa delicatezza. Tutto può uscire, ma nulla può entrare… nessuno deve vedere. Nessuno ha il diritto di vedere i miei pensieri, nessuno ne ha il permesso di ascoltarli. Nessuno può toccarli con le mani sporche di superficialità, di cui invece è fatto il mondo.
Che mi vedano a pezzi, ma che non mi guardino mai per davvero.
Il vero spaventa.
Il vero è vero…
Se deludo davvero, resto sola. E allora è meglio circondarsi di sagome di cartone, che mi attraversano trasparenti e dopo un po’ se ne vanno via, altrove.
Poi arriva una freccia intrisa di siero strano, scoccata da centinaia di metri, che mi trapassa con crudeltà mentre mi facevo i fatti miei.
Eppure mi irradia.
Come il sole.
E mi commuove, come le stelle.
Scalda al punto da farmi desiderare di essere normale, di non avere paura, di avere coraggio. Di sperare. Davvero, dal vero.
Mi fa brillare di speranza; a me, che la speranza me la sono strappata di dosso tanto tempo fa, come un tumore pronto a mangiarmi la vita. Perché “sperare ti farà morire, disperato” diceva mia nonna; e io lo so bene, visto che di speranza ci stavo morendo davvero.
E so che dovrei cavarla via quella freccia, con tutta la forza che ho, perché se non mi ucciderà la ferita, sarà il siero ad avvelenarmi… ma so che scomparirà da sé, prima o poi. Quindi la tengo qui con me, per tutto il tempo in cui potrà stare. Fino al giorno in cui dovrò dirti ciao.
Il giorno in cui si spegnerà il sole.
Sara C.