Riflessioni: La speranza di restare umani

Dove eravamo rimasti..?
Così ha esordito Enzo Tortora, nel 1987, al suo ritorno in tv, dopo gli anni drammatici di inchieste, accuse e processi. Ed è così che, dopo una pausa di un paio d’anni, scrivo un articolo con lo stesso spirito che mi aveva guidata ai tempi dell’apertura del blog: la libertà.
Nella mia vita, lunga per alcuni e cortissima per altri, ho sempre potuto contare sull’invisibile presenza di tanti momentanei; persone che hanno percorso un pezzo di strada con me e che, nel bene e nel male, hanno cercato di insegnarmi qualcosa con parole e fatti. A volte con successo, altre volte no. Ma tralasciando il karma, che non esiste, perché nel cielo non v’è alcuna entità di Giustizia che mette in pari le disgrazie del mondo, non sempre sono stata all’altezza di comprendere ciò che mi veniva -consciamente e inconsciamente- insegnato. Succede sempre così alle persone immature: attraggono ciò che potrebbe insegnar loro qualcosa e nel momento in cui c’è da imparare, si chiudono a riccio, incamerano odio e lo riversano sugli altri, alimentando una catena di rancore che ingrigisce l’umanità intera. Anche io ho nutrito l’intolleranza e so di continuare a farlo ogni volta che parlo o agisco in fretta, senza pensare. Senza provare… senza sentire. D’altro-canto, ambire a percepire qualsiasi cosa equivale ad esporsi davvero a tutto: si finisce per impazzire e quindi, sentire sì, ma quand’è giusto e con assertività.
Per molto tempo sono stata vittima di una forza oscura, il cui scopo era quello di rovinarmi l’esistenza e solo dopo diversi fallimenti e tanto dolore -tanto per la mia sensibilità-, ho capito che il sabotatore crudele che agiva nell’ombra non era altri che… me. Io stessa. Ostacoliamo la felicità ogni volta che pretendiamo che la vita si pieghi alle nostra volontà, ogni volta che fuggiamo dallo step evolutivo che continua a ripresentarsi come fosse un boia torturatore. Invece non lo è… si tratta “solo” della vita che prova disperatamente ad insegnarci qualcosa per poter sopravvivere.
Sopravvivere a cosa? A noi stessi.
Siamo come uno stagno: a restar fermi, ci sporchiamo. Ma dovremmo ispirarci ai serpenti, che ogni volta cambiano pelle perché capiscono che è arrivato il momento di evolversi, di andare oltre, di lasciar andare. E lasciar andare non significa “abbandonare”, ma perdere ciò che non è più utile e abbracciare una nuova fase, una nuova avventura… mantenendo la memoria di ciò che è stato, per evitare che si ripeta ancora.
Cosa fanno i bambini subito dopo il parto? Piangono, urlano, ma la prima cosa che fanno per davvero è tossire, perché la tosse è la reazione alla primaria azione dell’ostetrica… ossia, la liberazione delle vie respiratorie. L’aria entra, non siamo abituati, ci brucia il naso, la gola, tutto va giù in fretta e piangiamo. Ci disperiamo… ma stiamo respirando: siamo liberi.

Un corazón en invierno – Fancisca Pageo

Questo articolo era nato con tutte altre intenzioni, ossia come un confronto franco tra due canzoni del momento e si sta trasformando in uno dei miei labirinti rompicapo che neanche Arianna e il suo famoso filo potrebbero seguire. Pazienza. Io sono questa.
Torniamo al respiro, alla libertà.

La Trapezista, Bruno Melappioni

Alcune evoluzioni ne contengono altre, un po’ come le matrioske: è già un miracolo riuscire a raggiungere una vetta in tutta la propria vita, che è destabilizzante scoprire che quell’apice è solo uno dei tantissimi punti alti di una montagna immensa, che non scaleremo mai. Maturare vuol dire capire che non è la vetta il vero obiettivo, ma la scarpinata e tutte le riflessioni, le esperienze, i sentimenti che si provano mentre saliamo: è questo il senso, qualcosa che non afferreremo mai del tutto perché in realtà ci avvolge già, sempre.

Da piccola avevo un incubo ricorrente: mi trovavo sul filo da trapezista e l’occhio di bue illuminava solo il punto in cui ero, il resto era completamente avvolto dall’oscurità. La prima cosa che provavo era il panico, perché non sapevo quanto male mi sarei fatta cadendo. Poi, subentravano i meccanismi di pensiero di chi è in una situazione di merda e deve trovare una soluzione per andarsene a casa; non ero in grado di capire in quale direzione andare per raggiungere la scaletta il prima possibile, scendere e scappare via.

Ecco, oggi sono convinta che non si trattasse di un incubo, ma di una consapevolezza inconscia della realtà: è questa la vita, la strada che fai nella speranza di raggiungere un qualcosa che forse non raggiungerai mai… ma nel frattempo accadono cose e le risolverai strada facendo. Forse.

*

Negli ultimi due anni ho capito quanto sia stato grande e piccolo allo stesso tempo il momento in cui ho tolto la pelle ferita, anzi, morta. Avere a che fare con una persona narcisista è un’esperienza difficile da digerire e infatti, non tutti riescono a farlo: molti muoiono, altri scambiano l’assorbimento con la sopportazione e non ascoltano le grida d’aiuto che vengono da dentro. Scagliano l’odio, e le relative responsabilità, su chi li ha feriti al punto di ucciderli -alimentano la catena umana del rancore- chiedono e pretendono aiuto da chiunque, ma non fanno niente per aiutare loro stessi. Non è un inno al “fai da te”, ma è la richiesta di ascoltare se stessi per davvero: se ci graffiamo, il corpo reagisce cicatrizzando la ferità da sé e anche la depressione è una reazione di protezione del nostro corpo. Ci dice “Stai pensando troppo e male: basta“. Poi però… salvarci sta a noi.
Io non credevo di salvarmi, non ci pensavo neanche… nella mia testa ho sempre avuto troppo poco valore per salvare me stessa da qualcosa: ho sempre preferito sbattere i piedi, lagnarmi, incolpare gli altri e sopportare il peso del dolore, che poi facevo scontare al prossimo e al prossimo e al prossimo ancora, all’infinito. E’ così che fanno tutti: perché non avrei dovuto fare così anch’io, che non valgo un cazzo? Di fronte a questi pensieri, con il vuoto sotto i piedi e gli occhi spenti, il mio corpo ha capito che doveva fare qualcosa… altrimenti, sarei morta. D’altronde, ero pronta.
Ma i colpi di reni non bastano, perché rappresentano solo il primo passo e quello, di solito, ti porta via da dove sei; non ti accompagna dove vuoi arrivare. Lì devi andarci da solo, a piedi, con calma… se esiste davvero un “lì”.

*

Limbo

Quello che credo di aver imparato stavolta è che quando pensi di aver imparato a sufficienza, arriva qualcos’altro a ricordarti che non è così… i am still learning, frase erroneamente attribuita a Michelangelo Buonarroti.
Dopo il grande salvataggio, pensavo di aver dato tutto quello che avevo e invece, ho dato tutto quello che avevo in quel preciso momento. Ora è un momento diverso, domani sarà differente ancora e così via, sempre così. E’ stato importante comprendere di avere un valore e di difenderlo con le unghie e con i denti da qualsiasi tipo di dolore… ma la vita è come l’aria: trova una fessura e ci si infila, scompigliando tutto ciò che trova. Si può dare e chiedere sincerità, si può supplicare gli altri di non ferirci più perché crediamo di aver già dato… ma è inevitabile che ciò accada ancora… è questa la vita, il resto è solo un limbo incolore in attesa della morte.

Perché questa riflessione?
Perché al mondo c’è chi punisce il dolore con il silenzio, chi con la rabbia e chi con l’amore. Spero di essere all’altezza della mia felicità e di puntare sull’ultimo…un amore vero, quello che solo io posso dare a me stessa. Darmi un amore che non puzzi di egocentrismo e supponenza, di narcisismo o di iperprotettività nei miei stessi confronti: ho sofferto, ma non sono di cristallo; ho sofferto, ma questo non mi rende sempre giusta o nel giusto. Spero di amarmi al punto di restare umana, di ascoltare, di non far pagare ad altri le colpe altrui, né tantomeno le mie. Spero di avere meno paura di soffrire, perché “gli uccelli troppo stretti finiscono per morire d’asfissia“.
Non so chi troverò o se troverò qualcuno ad aspettarmi… non avanzo desideri, ma solo speranze e solo speranze che riguardano me. Spero di essere all’altezza della mia felicità.

-Sara C, 01.22.23

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.