“Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”.
A volte, ho ancora gli incubi. Di notte mi sveglio e ad una parte di me manchi così tanto che le sembra di sentire l’odore della tua pelle sulle dita. Allora corro all’armadio, apro le ante e cerco tra i vestiti quella vecchia borsa che ho usato solo una volta, l’ultima passata insieme. Ripesco la tua maglia e mi rendo conto che di tempo ormai n’è passato fin troppo per sentire ancora quell’odore: eppure era così forte, così caratteristico… personale, tuo; che difficilmente potrò dimenticarlo.
Il tuo viso non era pelle, ma ceramica bianca: dipingi su di essa un bel sorriso o una brutta curva all’ingiù, sottolineando la tristezza. Ma è tutto finto. Basta un colpo di spugna e la faccia torna inespressiva e fredda, come tu sei. Lo eri anche quando mi picchiavi; quando le mani erano ferme, ma le parole sferravano pugni su ogni centimetro del mio corpo, lasciato in un angolo a morire, tra disinteresse, silenzi e crudeltà.
Quante volte mi rannicchiavo a terra sperando che la smettessi; pregandoti; supplicando di fermarti, di avere pietà.
Quante volte stringevo le gambe tra le braccia, nascondevo la testa e “Per piacere, basta. Basta”.
Mille volte ho sperato che scomparissi, ma non dalla Terra, bensì dalla mia stessa memoria: per non avere più paura di una carezza, per avere il coraggio di cercarla e per avere la fiducia necessaria ad accoglierla.
A volte, è come se il tuo fantasma mi umiliasse ancora e mi picchiasse così forte da far uscire lividi nuovi. Ma forse non sei tu, sono io.
Io che cerco tra le macerie di un’umanità disumana qualcuno che faccia ancora la differenza: cerco i miei simili in una terra straniera e ostile.
E ogni delusione è un livido,
ogni inganno, un taglio
ogni silenzio, un pugno
e ogni tradimento è una traumatica morte.
Fuori dal petto, ormai, anche il vento brucia.
Sara C.