Interviste: Francesco Forestiere – Autore

L’autore che sto per intervistare è uno di quelli che non ha bisogno di omologarsi, perché ciò che scrive è così tanto caratteristico da conciliarsi poco con le mode e gli stili del momento. Un po’ come accade a David Lynch, osannato e/o detestato autore de “I segreti di Twin Peaks”, Lui va per la sua strada senza scomporsi, restando però recettivo verso tutto ciò che può insegnargli qualcosa. La curiosità è la chiave dell’evoluzione, senza quella non si va da nessuna parte, e Lui ne ha a discreti quintali.
È uno che conosce bene la differenza tra “umiltà” e “insicurezza”, senza permettere che la prima si trasformi inesorabilmente nella seconda.
Lui è uno dei pochi sopravvissuti e questo status lo deve alla serietà con cui si relaziona agli altri, in maniera trasparente e rispettosa, senza mai eccedere, centrando i tempi e i modi. L’unica nota sopra le righe è l’irriverenza dei suoi personaggi, abituati alla battuta fulminea che tutto gela.
Lui è la farfalla bianca, una di quelle che si distinguono perché non ha niente a che fare con tutto ciò che la circonda.
Lui è Francesco Forestiere ed è ospite di Art Cafè in qualità di Autore.

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~ Una delle caratteristiche che colpiscono di te (o almeno, per me è stato così) è l’essere “completamente fuori”. Ovviamente, non si parla di sanità mentale, bensì di un anticonformismo insito che ti allontana dalla corrente che trascina gli altri autori o aspiranti tali. Sembri indipendente, perché non insegui il favore del lettore, né tantomeno quello del pubblico “di qualità”; di quello che conta, per intenderci. Quanto è importante l’identità personale nella scrittura e quanto sei disposto a cambiare per entrare a far parte del mondo dell’editoria?
Peccato, speravo mi si riconoscesse l’infermità mentale.
Scherzi a parte, non mi sono mai imposto di dover scrivere in un determinato modo. Lo faccio come mi riesce meglio. Cerco di comunicare al lettore quello che ho in testa. Cambiare per entrare nell’editoria sarebbe come esserci, ma non come sono realmente. Che piaccia o meno, sono questo. E non spero di piacere, ma di arrivare al lettore al meglio di quel che sono.

~ In qualità di aspirante autore, cosa pensi dell’attuale sistema editoriale italiano? Come vedi gli esordienti in questo scenario e quali possibilità pensi abbia uno scrittore in erba?
L’editoria vive da tempo un periodo di crisi: sarà colpa del lettore, sarà che non si incentiva la cultura, di certo l’editoria arranca in malo modo. Come per ogni cosa, ci sono i pro e i contro. Con la possibilità offerta dai social, tutti possono avere un riscontro in termini di visibilità, ma non è tutto oro quel che luccica. Spesso il valore di uno sconosciuto resta sepolto in un marasma di altri autori che si spalleggiano o che, peggio ancora, sgomitano per un briciolo d’aria fritta.

~ Uno dei tuoi lavori più frequenti, e anche più apprezzati, sono i “250parole”: degli scritti-dedica che il lettore fa a se stesso per mezzo della tua penna. Da cosa parte l’idea e perché hai deciso di realizzarli?
Un’immagine in 250 parole” sono un esercizio per la riduzione del testo. Nascono nel forum di scrittura che mi ha formato, spezzandomi le ossa sulle certezze che avevo e rimesso in carreggiata con validi e nuovi  insegnamenti. Il forum poi è svanito e sono rimasto a scriverli con una cara amica.
Sono così diventati gli #Only250words. Il perché? Sono una sfida contro me stesso, per dare sempre di più, in un numero stringente di parole.
Per caso nascono quelli personali, di persone che mi hanno inviato una loro foto per realizzarne uno scritto. Ogni volta che lo invio al proprietario, perché quegli scritti diventano di proprietà di chi li ha chiesti, ho il timore che non vadano a segno.

~ Alcuni dei tuoi scritti seguono uno schema predefinito: parlo dei “250parole” e dei vari racconti brevi riguardanti le avventure del Maestro, Lei/Lui e via discorrendo. Uno schema, più o meno rigido, riesce a guidarti durante il processo di creazione? Che rapporto hai con le regole della buona scrittura?
Schema, cos’è? Non faccio progetti su queste cose. Vedo un’immagine che mi attira, ne faccio un #Only250words; sento un dialogo o vivo una situazione particolare, ne faccio un DiaGoLo. Nel secondo caso, in base a chi più adatto a “impersonare” la parte, deciderò su chi imbastire la struttura. Ho ampio margine di scelta.
Cerco di dare il meglio in ogni cosa che scrivo, non sarò io a dire di esserci riuscito, però non lascio che qualcosa mi costringa a fare diversamente da come l’ho pensata. Regole di scrittura? Preferisco chiamarli “paletti“, perché se li conosci, sai quanto puoi distanziarti da essi. Imprescindibili, ovviamente, quelli della lingua italiana.

~ Sei uno molto “real” e poco “fake”, nel senso che non hai bisogno di costruire un personaggio che ti rappresenti nel circolo degli scrittori: i tuoi social includono anche stralci di vita quotidiana, normale, lontana dall’immagine impegnata e filosofica di alcuni aspiranti autori. È la scrittura che si adatta alla tua vita, fatta di lavoro, famiglia e tanti altri interessi. Quanto tempo le dedichi di solito? E quanto ne dedichi allo studio e alla promozione?
Tempo effettivo davvero poco, riesco poche ore durante la sera. Durante la giornata riesco a ricavarmi piccoli spazi per organizzare il poco tempo a disposizione. Studio più di quanto scriva: quando qualcosa non mi torna, cerco di capirne il perché e di trovarne una motivazione, dandole il giusto valore; imparo in corsa.
Non sono il tipo da spammare pagine. Non invio neanche ai miei contatti dove possano trovarmi. Credo ancora nella meritocrazia: se una cosa è di valore, altri la metteranno alla luce. Una visione utopistica, lo so, ma la preferisco allo spam becero. Non sarà un like a cambiare la mia vita, bensì un commento che faccia mettere tutto in gioco.

~ Ho notato che sei presente su vari social, Facebook e Instagram in primis: secondo te, qual è il più adatto a un aspirante autore e perché? Inoltre, quanto è importante la pubblicità e che tipo di pubblicità è la più adatta?
Inizialmente credevo che facebook fosse la piattaforma più adatta alle mie esigenze. Mai avrei creduto che, su un social come Instagram, potessi trovare un riscontro maggiore. Su Instagram, il limite di 2200 battute sono uno scoglio duro, però posso assicurare che mi son trovato meglio.
Comunque, la miglior pubblicità resta la classica, il passaparola. Quella genera curiosità sana, inoltre è una garanzia se detta da persone di valore. Vedere una pubblicità al volo, o peggio, uno spam a tutto spiano di certo non ripagano. Ovviamente, si tratta di una crescita molto lenta, estenuante, ma vera.
È una scelta soggettiva, come per tante cose, eh!

~ Molti dei tuoi personaggi sono figure macabre e spaventose, addirittura pericolose in alcuni casi. Perché umanizzare la Morte e il Drago? Perché scegliere loro come protagonisti dei tuoi racconti?
Dopo aver letto della MORTE di Terry Pratchett, ne sono rimasto affascinato; aggiungiamoci i video su YouTube di Dij, che hanno aggiunto un tocco particolare.
Perché scegliere proprio loro? Perché mi permettono di giocare liberamente con determinati argomenti, poter creare una visione diversa da quello dell’immaginario collettivo e infilarli in situazioni surreali, lasciando il lettore totalmente in balia di qualcosa a cui, per logica, non può dare risposta.

~ Sono sempre affascinata dal personaggio di Morte, che ogni tanto prende il nome di Lei/Lui per evitare ogni possibile riferimento di genere. Perché fai distinzione tra i vari aspetti della morte e come vedi ognuna di loro?
Non volevo darle/dargli un sesso specifico: mi permette maggior spazio di manovra. Allo stesso modo, tante emanazioni della Morte creano diverse situazioni dove posso giostrare meglio gli eventi. Ogni Morte ha un determinato compito e fare qualcosa che, oltre le proprie mansioni, porta a scompigliare gli eventi.

~ I tuoi personaggi sono un concentrato di arguzia, spessore morale, cinismo e immediatezza. Inoltre, per quanto si ispirino a degli archetipi narrativi fantasy, hai saputo plasmarli e adattarli alla realtà di oggi per far dire loro qualcosa, per mandare dei messaggi che sembrano permeare meglio se espressi in modo giocoso, irriverente e simpatico. Quanto è importante il linguaggio nei tuoi scritti e soprattutto, per i tuoi personaggi?
Tutti i DiaGoLi nascono da un vissuto specifico o dalle persone con cui sono a contatto. Far ridere a cuor leggero è una delle cose più difficili da fare, ma se si inserisce un concetto serio nel discorso, credo che questo venga recepito meglio. Non uso termini desueti, provo con parole semplici che sappiano pungere sul vivo.
I dialoghi de “L’armatura” sono seri, dove più di un lettore ha tratto conclusioni proprie. E’ questo che mi affascina della scrittura: ognuno elabora in maniera diversa.

~ In conclusione, quali sono i tuoi progetti letterari per il futuro?
Nel tempo, i dialoghi del Maestro, del Drago e di Morte si sono incontrate senza volerlo. Stiamo lavorando per farne una raccolta e pubblicarla come testo in produzione self.

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Extra:
~ Nell’ambito degli esordienti le collaborazioni sono all’ordine del giorno: come ti poni nei confronti dei lavori di squadra? Sei un tipo solitario, che preferisce elaborare e gestire in prima persona il proprio progetto o preferisci la cooperazione?
Scrivere è un’attività solitaria, ma non è come comporre un puzzle. È un lavoro che richiede supporto ed esperienza (oltre a sopportazione). Amo rendere partecipi le persone a me care, conosciute grazie alla scrittura: tutti rapporti sfociati in belle amicizie. Ci scambiamo opinioni più sincere possibili, perché vogliamo che l’altro riesca al meglio. È anche vero che, troppo spesso, la gente finisca per confondere la disponibilità con l’egoismo personale.

~ Scegliendone uno tra i big e uno tra gli esordienti, quali libri ti avrebbe fatto piacere scrivere?
Dovessi scegliere, direi subito la saga di Harry Potter o il Trono di Spade; potessi spaziare oltre, scegliere anche Dylan Dog, ovviamente Groucho è un valore aggiunto.
Per gli esordienti, invece, non vorrei aver scritto un libro in particolare, ma avere la capacità di quello spessore sulle tematiche di Chiara Casalini. È una penna meravigliosamente graffiante.

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Al termine dell’intervista, Forestiere fa qualcosa di insolito: è lui a fare una domanda a me.
Domandazzo: Ci sono davvero autori più meritevoli di me, perché questa intervista? Sono curioso di capire il motivo di questa scelta“.
Potrei rispondere con semplicità, lasciando che le considerazioni finali sull’intervista rispondano per me, però non voglio.
Le interviste nascono con l’intento di sapere di più riguardo qualcosa (o qualcuno) che ci interessa: tutte quelle che ho realizzato finora erano figlie di questa curiosità. Ecco perché sono io a scegliere l’intervistato e non il contrario: Art Cafè non accetta autocandidature.
Se non mi interessa l’articolo, non ho motivo di fare domande. Nel caso di Francesco Forestiere, conosco molto bene l’articolo e quindi, per quanto io abbia sempre curiosità nuove riguardo ciò che mi piace, avevo l’intenzione di presentarlo ai lettori di Art Cafè. Il motivo? Credo che ne valga la pena. In questo ambiente è raro, se non impossibile trovare un aspirante autore che non si finga umile, per poi correre a difendere la propria opera con le unghie con i denti, anche quando questa risulta indifendibile. Inoltre, cosa non da poco, è uno a cui non scivola accidentalmente la saponetta per poter pubblicare e questo per me ha un valore immenso: di bava radioattiva ne ho sopportata troppa e ne faccio volentieri a meno.

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Francesco dà l’impressione di essere “completamente fuori”, come i suoi scritti.
È sui generis, ha personalità da vendere e poca voglia di omologarsi e questo è un bene, perché svendersi per quattro copie non ne vale per niente la pena. Francesco questo lo sa, ecco perché non cambia, né si impone. Non sgomita per farsi spazio, né traveste i suoi personaggi da cliché per entrare in qualche realtà che lo vorrebbe più così e poco cosà.
Francesco Forestiere è indipendente e lo è così tanto da ascoltare pareri e consigli di tutti: qualsiasi cosa pur di crescere, tranne che rinunciare a se stessi.
In questo mondo, l’integrità è tutto, altrimenti ti perdi negli altri. In questo mondo, la genuinità della realtà è niente, purtroppo, perché nonostante sia un siciliano verace (uno di quelli con la “e” aperta), Francesco non è un pupo con i fili: non è burattinaio di se stesso, né tantomeno della propria immagine. Libero, come una farfalla bianca.
Grazie Francesco, io e Art Cafè ti auguriamo tanta, ma tanta fortuna. Ti servirà.

Sara C.

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