Foto: Emmett Till , di David Jackson

David Jackson era un fotografo come tanti quando scattò una delle foto più rappresentative della sua epoca. Più sulla carriera d’artista, è bene soffermarsi sul messaggio che questa immagine vuole lanciare. Ancora oggi.

Siamo nel 1955, in America del sud: Money, Mississippi. Emmett Till aveva 14 anni quando fu assassinato brutalmente, in maniera vigliacca, per motivi razziali. Nella foto, i genitori del ragazzo si apprestano a riconoscerne il cadavere straziato dalle violenze subite; eppure, entrambi mostrano un dolore composto, che suggerisce forza e dignità davvero rari.
Non è ben chiaro se Emmett Till, come tanti suoi coetanei, abbia fischiato o corteggiato Carolyn Bryant (giovane donna bianca), ma è assai chiaro ciò che ne è conseguito. Roy Bryan e J.W. Milam, marito e fratellastro di Carolyn, rapirono Emmett e lo portarono in un capanno: lo seviziarono, gli spararono e gli legarono un peso intorno al collo, prima di far sparire il corpo nel fiume. Il corpo di un bambino di quattordici anni, signori miei.
I due vennero arrestati, ma il processo si svolse così in fretta e in modo così ambiguo che le conseguenze giungono fino a noi, ad oggi: dodici giurati bianchi assolsero gli imputati dopo soli 67 minuti di consiglio, durante i quali (secondo uno dei loro) la giuria aveva addirittura tardato perché “si è fatta una pausa per bere una bibita“.
Dopo il verdetto, Mamie, la madre di Emmett Till, disse: “Lasciate che la gente veda quello che ho visto io“. Decise di esporre la salma del figlio, lasciando aperta la bara prima dei funerali e mostrando quanto ci si potesse spingere in là con un “negro”. E’ solo un “negro”. E’ un “negro”, è inferiore.

Emmett Till aveva 14 anni e il diritto di vivere la sua vita al meglio delle sue possibilità, ma perché nero, non gli è stato concesso lo stesso trattamento che sarebbe stato riservato a un bambino bianco. Ma soprattutto, non gli è stata concessa nemmeno la stessa giustizia, sbaglio o non sbaglio.

Sara C.

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