ArtDraw: La morte di Edgar Allan Poe

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La vita è assai curiosa e per certi versi, mai come in questo caso, lo è anche la morte.
Ciò che sembra accomunare gli artisti di maggior successo è il terribile senso di incomprensione che questi hanno provato nel corso della loro vita: un muro invalicabile, eretto da entrambi i lati, che si attorciglia su se stesso e non lascia altre vie di scampo, se non l’emarginazione, la solitudine. Da Giacomo Leopardi a Emily Dickinson, passando per Emily Brontë e il contemporaneo Stieg Larsson: tutti accomunati dall’enorme successo, ma postumo.
Capiamo il valore di qualcuno o qualcosa solo dopo averli persi? Forse, ma non è questo il punto. Sarebbe interessante comprendere il motivo di tanto scetticismo nei confronti di chi appare bizzarro, “strano” o semplicemente diverso e si potrebbe perfino arrivare a una soluzione, ma non è questo il punto.
Tra i più grandi incompresi e rivalutati c’è Edgar Allan Poe, la cui vita è stata caratterizzata dal dolore e dalla solitudine, ma mai quanto la sua morte, che (oltretutto) si tinge di giallo.
Giallo, come il genere letterario che Edgar Allan Poe ha “inventato”.

Edgar Poe nasce il 19 gennaio 1809 a Boston, da madre britannica e padre irlandese: entrambi attori, anche se Elizabeth Arnold Hopkins Poe con maggior successo. David Poe Jr. abbandonò la famiglia nel 1810 e sua moglie morì di tubercolosi l’anno dopo, lasciando il figlio orfano di entrambi i genitori. Per questo, il bambino venne affidato alla famiglia di John Allan, un mercante scozzese che commerciava tabacco, stoffa e schiavi, che gli diede il cognome, ma che non lo adottò mai ufficialmente.
Nel 1815 gli Allan si trasferirono in Gran Bretagna e qui, Poe ricevette un educazione fortemente inglese, prima di tornare in Virginia cinque anni dopo. Dopo aver scoperto l’amore per la scrittura durante l’università, Edgar Allan Poe visse un periodo turbolento, fatto di debiti, gioco d’azzardo e dipendenza dall’alcol; vizi, questi, alimentati dalla gestione fallace dell’Università della Virginia, fondata da Thomas Jefferson e basata sui principi dell’indipendenza e dell’autogestione studentesca. La condotta del figlio creò non pochi problemi alla famiglia Allan che, malgrado la ricchezza, si indebitò e non poco per garantire al ragazzo una corretta istruzione.
Dopo una breve parentesi come giornalista e come soldato nell’esercito degli Stati Uniti, Poe si dedicò alla scrittura e tentò di vivere con il profitto delle sue opere, ma senza successo. La depressione economica che colse l’America nel 1837, sommata alla legge sui diritti d’autore, non fecero altro che ostacolare il tentativo degli autori di affermarsi in campo editoriale. Inoltre, i problemi di alcolismo di Poe non ne perorano la causa e lo portarono a rivolgersi spesso a varie forme di assistenza.
L’unione e il matrimonio con la cugina tredicenne, Virginia Eliza Clemm, lo aiutò a riemergere e a cercare di trasformare la propria passione per la scrittura in lavoro stabile e ricompensato. Per farlo, passò dai versi alla prosa, alternando come sempre la carriera di autore a quella di giornalista, ma la realtà non cambiò e come se non bastasse, Virginia contrasse la tubercolosi e morì nel 1847.
I fallimenti, il dolore e la povertà condussero Poe alla depressione, coadiuvata dall’abuso di alcol e forse, di droghe. Fu proprio in questo stato, nel momento di maggiore abbandono, che l’autore scrisse i suoi testi più belli: Lo scarabeo d’oro, Il gatto nero e Il corvo e altre poesie. Tra i tanti, anche I delitti della Rue Morgue del 1841, che divenne il capostipite del genere (ancora oggi) più venduto al mondo (il giallo) e al suo interno vi presentò l’iconico personaggio dell’investigatore Auguste Dupin, che ispirerà poi Arthur Conan Doyle, Franz Kafka e Jules Verne, fra i tanti.

Purtroppo, non è questo il punto. E non lo è neanche il dualismo tra H.P. Lovecraft e lo stesso Edgar Allan Poe: i due autori sono simili quanto diversi e per quanto riescano a spaventare, ancora oggi, rappresentano ognuno una faccia della stessa medaglia; quella della paura. Il primo descrive l’esterno con una fantasia barocca e un lessico terrificante, mentre il secondo racconta l’interno con una scrittura intimista e psicologicamente disturbante.
Ma non è questo il punto. Sembrerebbe che una vita vissuta all’insegna della solitudine e della depressione non fosse sufficiente e perciò, anche la morte di Edgar Allan Poe è diventata essa stessa un mistero.

Dopo la scomparsa dell’amata moglie Virginia, lo scrittore cadde in una profonda depressione che lo portò quasi alla morte. Poi, con una reazione degna di ammirazione, Poe si liberò dallo spettro dell’alcolismo, riprese a scrivere e cercò un nuovo amore, trovandolo nell’amica d’infanzia Sarah Elmira Royster. Per averla a suo fianco, l’uomo si disintossicò e soggiornò per ben sei mesi nella casa dei Royster, con il fine di convincere la famiglia delle sue buone intenzioni (e anche la stessa Sarah, che avrebbe perso l’eredità del primo marito in caso di nuovo matrimonio).
Sul finire dell’estate del 1849, insieme all’annuncio delle nozze, arrivò la proposta per un nuovo lavoro a New York: Edgard Allan Poe sarebbe partito il 25 di settembre. Eppure, dopo la partenza, venne ritrovato il 3 ottobre a Baltimora: era in stato confusionale, parlava da solo, barcollava e indossava abiti di due taglie più grandi. Venne portato all’ospedale Washington College, ma dopo quattro giorni di deliri e l’ultima nottata passata a gridare a gran voce il misterioso nome di “Reynolds“, Edgar Allan Poe morì il 7 ottobre 1849, senza mai essere lucido a sufficienza per spiegare cosa fosse accaduto in quei giorni così oscuri.

Le cause della morte di Edgar Allan Poe non sono mai state chiarite.
Inizialmente, si parlò di “congestione del cervello” dovuta all’alcolismo, che oggi corrisponderebbe alla morte per cirrosi epatica con encefalopatia alcolica. Nel 1996, a 147 anni da quel tragico 7 ottobre, il dottor Michael Benitez dell’università’ del Maryland, effettuò l’autopsia sui resti dello scrittore americano e anziché chiarire le cause del trapasso, ipotizzò la morte per rabbia (Poe aveva molti animali). L’ipotesi del suicidio è stata scartata nel marzo 2020 e le motivazioni sono state pubblicate sul Journal of Affective Disorders, in relazione allo studio dell’università di Lancaster: secondo gli esperti, a seguito dell’analisi sugli indicatori linguistici della depressione, Poe viveva un momento di rinascita e non avrebbe mai potuto compiere un gesto simile.
Una delle ipotesi più rinomate è quella che vede morire Edgar Allan a causa di un tentativo di “cooping“, che consiste in un trattamento di tortura, fatta di prigionia e violenze, al fine di spersonalizzare l’essere umano e fargli acquisire diverse identità. Il cooping fu una pratica assai diffusa tra la metà dell’800 e l’inizio del ‘900, usata per pilotare l’esito delle elezioni: dopo giorni di torture, la vittima non sapeva riconoscere se stessa e perciò, veniva indirizzata verso i seggi per votare uno o l’altro candidato. Proprio nei giorni antecedenti alla morte di Poe, a Baltimora vi erano le elezioni.

I motivi non sono l’unico mistero riguardante la morte di Edgar Allan Poe.
Dal 1949 al 2009, ogni 19 gennaio (giorno della nascita dello scrittore), un uomo ha fatto visita alla sua tomba, situata nel cimitero Westminster Hall di Baltimora, nel Maryland, lasciando in dono tre rose e mezza bottiglia di cognac. A volte, anche dei biglietti: “Edgar, non ti ho dimenticato” diceva uno dei tanti.
I testimoni lo hanno descritto come una persona dall’aspetto sinistro, vestita di nero e sempre coperta per evitare il riconoscimento, che dopo aver baciato l’effige scolpita sul monumento lasciava i suoi doni e se ne andava. I fans di Poe non hanno mai ostacolato il rituale dell’uomo e con il tempo, lo hanno perfino difeso dagli attacchi dei più curiosi. Fino al 2010, anno in cui Poe Toaster (colui che brinda a Poe) non si è presentato. Da allora, mai più.

Sara C.

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