Serial Killer: Il mostro di Firenze #7

La storia che state per leggere è una delle più spaventose. Di sicuro, la più terribile tra quelle successe in Italia. Vi verrà narrata come uno di quei racconti agghiaccianti alla Edgar Allan Poe, oppure, come farebbe il più contemporaneo Carlo Lucarelli. Proprio per questo motivo, non verrà seguito l’ordine cronologico dei fatti.
Per l’argomento trattato e il materiale riportato, si sconsiglia la lettura a un pubblico impressionabile.
Sesta parte.

Settimo Omicidio: Rontini – Stefanacci

Luglio 1984.
Dopo il duplice omicidio di Jens- Uwe Rüsch e Horst Wilhelm Meyer, avvenuto la notte del 9 settembre 1983, l’Italia capisce che il caso riguardante il mostro di Firenze è ben lontano dall’essere risolto.
Il giudice Rotella, subentrato al dottor Tricomi, sospetta che Francesco Vinci abbia un complice. Infatti, nonostante Rotella si dica certo della responsabilità dell’uomo, non si può far a meno di notare la differenza delle amputazioni a cui vengono sottoposte le vittime dopo l’arresto di Vinci. Ecco perché, dall’assassinio dei due turisti tedeschi, le strade del giudice istruttore e della procura si dividono: il primo è fermamente convinto della pista sarda e la seconda pensa che le indagini siano arrivate a un punto morto, in cui è necessario ricominciare daccapo.
Con il rilascio di Francesco Vinci tramonta definitivamente l’ipotesi della pista sarda, ma il giudice Rotella finisce per concentrarsi sulle figure di Giovanni Mele (cognato di Stefano Mele, già in carcere per l’omicidio del 1968) e Pietro Mucciarini, amico stretto di Vinci. La causa di tale “accanimento” sembra essere un biglietto rinvenuto nel portafogli di Stefano Mele, scritto da Giovanni, che riporta testuale:

RIFERIMENTO DI NATALE riguaRDO
LO ZIO PIETO
_______________________________
Che avesti FATO il nome doppo
SCONTATA LA PENA
_______________________________
COME RisulTA DA ESAME Ballistico
dei colpi sparati

Rotella crede che Giovanni Mele voglia suggerire al fratello Stefano come allontanare i sospetti dal clan sardo, ma finisce per tirare in ballo Pietro Mucciarini, che spesso compare al fianco del piccolo Natalino Mele dopo la morte della madre e l’arresto del padre. Mucciarini risponde che “probabilmente” Giovanni e Stefano fanno riferimento a un altro Pietro, prendendo le distanze da qualsiasi tipo di coinvolgimento.
Situazione contorta, fatta di silenzi e di teorie che finiscono in boutade.

La storia

E’ il 24 Luglio 1984.
Pia Rontini e Claudio Stefanacci sono giovanissimi: 18 anni lei e 22 lui. La prima studia cucina all’estero, il secondo lavora nel negozio di elettrodomestici dei genitori per poter studiare all’università. La sera del 24 Luglio, escono di casa per raggiungere Vicchio, per poi appartarsi in uno spiazzo poco distante dal fiume Sieve.
Alle 21.45, tre testimoni sentono 5 colpi di arma da fuoco nella zona di “Boschetta”, proprio in prossimità del fiume.
Alle 23.30, la madre di Claudio chiama Winnie e Renzo Rontini e aspetta 1 ora e 15 minuti prima di avvisare i Carabinieri.

E’ il 25 Luglio 1984, ore 02.00.
Dopo mezzanotte, a poche ore dalla scomparsa dei ragazzi, l’intera comunità di Vicchio è alla ricerca di Pia e Claudio e tra loro, è Piero Becherini a ritrovare la Panda azzurra di Stefanacci, in fondo a una strada di campagna distante 4km dal paese.

I fatti

La Panda si trova su una strada cieca, a 60mt dalla principale. Lo sportello della guida e il bagagliaio sono chiusi a chiave; il finestrino del passeggero è rotto, con i vetri all’interno dell’auto. I sedili sono ribaltati in avanti, con le scarpe e gli abiti dei ragazzi riposti sotto. Il parasole del guidatore è abbassato, la cappelliera rimossa e appoggiata sui montanti di sinistra. Nella tasca interna del portello del passeggero c’è un giornale che copre un coltello da cucina seghettato. Nell’auto viene ritrovata anche una coperta, una torcia funzionante e spenta, un pacchetto di preservativi vuoto, il portafogli di Claudio colpito da un proiettile.
Il sangue è ovunque: sul finestrino e sul predellino dal lato del passeggero che, colando, ha imbrattato un fazzoletto e l’erba sottostante e immancabile, sul sedile del conducente, in prossimità del corpo del ragazzo.
La ragazza è a circa 7mt dall’auto: nella mano destra stringe gli indumenti intimi, indossa gli orecchini e l’orologio dal cinturino danneggiato e la catenina che ha al collo risulta strappata, ma non a causa del trascinamento. Il corpo presenta lividi post-mortem sulle caviglie e segni di trascinamento su schiena e cosce. Pia Rontini è stata raggiunta da 2 colpi di Beretta calibro 22, al volto e sul braccio sinistro, e 2 coltellate orizzontali al collo, probabilmente quando ancora era in auto. Successivamente, le è stato asportato il pube e il seno sinistro, con tagli decisi e netti, con taglio da sinistra a destra.
Claudio Stefanacci viene ritrovato sul sedile posteriore, parzialmente vestito. E’ stato colpito 5 volte dalla Beretta, 1 all’orecchio sinistro e diverse volte all’addome, e poi 10 volte per mezzo di un coltello, al tronco, basso ventre e schiena.
La morte dei due ragazzi, secondo il medico legale, risale tra le 21.30 e le 22.00.

E’ il 25 Luglio 1984.
La Nazione titola: “Ora è proprio terrore”.
Complice quel titolo, la notizia riguardante il settimo delitto del mostro di Firenze giunge al Ministro degli Interni, Oscar Luigi Scalfaro, che decide di intervenire in maniera diretta nella vicenda: appoggia le idee della procura e incarica il procuratore Pier Luigi Vigna, sperando in un esito veloce e risolutivo. Nasce la Squadra Speciale AntiMostro (SAM) gestita dal commissario Sandro Federico che, insieme al dottor Francesco De Fazio, inizia a raccogliere informazioni riguardanti i crimini sessuali violenti avvenuti in Italia negli ultimi anni.

Le indagini sull’omicidio di Pia Rontini e Claudio Stefanacci registrano un episodio particolare. Nei giorni precedenti al delitto, la ragazza aveva notato di essere seguita e una sera, accorgendosi di alcuni movimenti strani fuori al bar dove lavorava, Pia si fa accompagnare a casa da un amico, che nel tragitto ha l’impressione di essere seguito. Un’amica della Rontini disse che “al bar c’erano persone poco piacevoli assieme alle quali Pia si sentiva molto insicura”. Infine, relativo alla sera del duplice omicidio, il proprietario della tavola calda in cui avevano mangiato i ragazzi disse che i due erano seguiti da un uomo alto, grosso e distinto, che ordina una birra e si affretta a finirla nel momento in cui Pia e Claudio vanno via.
Al funerale, il testimone ha il compito di riconoscere l’aggressore, ma non v’è traccia dell’assassino.

Ottava parte.

Sara C.

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