ArtGame: Tell me why

Ci sono tre tipi di persone al mondo:
1. Tell me why
2. Tell me why
3. I non-boomer.
Dire “Tell me why” a un trentenne significa metterlo seriamente in difficoltà, ma in giro c’è molto più dei revival anni ’90-’00. Perché “Tell me why”, prima di essere una canzone dal ritornello ossessivo, è una domanda, una di quelle accorate. E’ una richiesta di spiegazioni, il mezzo che usiamo per dissipare dubbi e curiosità: di certo, chiedere perché equivale a un’apertura, alla volontà di apprendere qualcosa e in questa occasione, offerta da Dontnod Entertainment e Xbox Game Studios, c’è da molto da imparare.

Tell me why è videogame del 2020, esclusiva Xbox e Pc, prodotto e pubblicato dai già citati Dontnod Entertainment e Xbox Game Studios. Si tratta di un’avventura grafica a capitoli, 3 per precisione, rilasciati tra agosto e settembre dell’anno di uscita. Segue il grande successo di Life is Strange (2018).
Parliamo di una piccola perla che tocca temi molto cari alla comunità LGBT e a chiunque chieda a gran voce pari diritti per tutti, ma ciò che non è chiaro ai più, è che Tell me why non è un racconto a senso unico. La transizione, la lontananza, la nostalgia, la difficoltà di mantenere i rapporti; la delusione, la crisi, il dolore, la depressione; l’essere genitore e il tentativo di essere un buon genitore; la solitudine, la disperazione… questi sono i temi affrontati da Tell me why, che definire “gioco LGBT” è assolutamente riduttivo.

I gemelli Ronan sono stati divisi dieci anni fa, dopo l’omicidio della madre, Mary-Ann . Secondo la ricostruzione della polizia e le testimonianze delle due bambine, Ollie e Alyson, la donna ha impugnato un fucile dopo aver scoperto che una delle figlie si sentiva pronta per intraprendere la transizione FtoM. Minacciata dalla madre, Ollie chiede aiuto ad Alyson e dopo la morte di Mary-Ann, la bambina confessa l’omicidio compiuto dalla sorella. Dopo aver scontato la pena, Ollie torna a Delos Crossing con la nuova identità di Tyler Ronan e con Alyson cerca di risolvere le questioni relative alla vendita della casa di Mary-Ann, disabitata da dieci anni. Cercando di sbrigare la pratica in fretta, i due fratelli si imbattono in indizi che rimettono in discussione l’intera vicenda e utilizzando il potere della Voce (che permette la condivisione di pensieri e ricordi di entrambi), i gemelli decidono di scoprire la verità riguardo la fine di Mary-Ann.

Il gioco non è da intendersi come un vero e proprio videogame, piuttosto come un lungo film interattivo, dove comportamenti e prese di posizione sono capaci di influenzare vari aspetti del finale.
Intervallando i filmati narrativi, il giocatore sarà chiamato a intervenire in tre modi: dialogando, agendo e ricordando. Mentre le azioni permettono alla storia di progredire in maniera abbastanza univoca (infatti i passaggi fondamentali sono uguali per qualsiasi giocatore), i dialoghi cambiano il modo in cui si arriva alla verità. Mentre il finale di gioco è uguale per tutti, il post-finale viene fortemente influenzato dalle scelte che si compiono strada facendo e perciò, decidere in un modo o in un altro non è affatto irrilevante. Il sistema di ricordi è totalmente interattivo, non si affida quasi mai ai filmati, quindi il giocatore dovrà scovare le sagome che raccontano la verità dal punto di vista di Alyson e di Tyler e spesso, si dovrà decidere a quale delle due affidarsi per progredire.
Le prove sono assai semplici e spesso si basano su indovinelli e/o indizi da raccogliere qui e là. Tolte un paio di occasioni più spinte rispetto al solito, il giocatore non verrà mai chiamato a dare prova delle proprie capacità da pro-player, perché Tell me why è un videogioco totalmente volto alla narrazione, al punto di farci sentire “solo” umili spettatori.

Appurato che il punto di forza di Tell me why non è l’adrenalina, né la grafica (nonostante sia veramente godibile), la bellezza del gioco sta nei significati e nei messaggi; entrambi più o meno intrinsechi.
Come già accennato, nonostante la transizione di Tyler sembri essere il centro della vicenda, questa si compone di così tanti elementi e presenta così tante sfaccettature che definire il gioco “a tema LGBT” è assolutamente riduttivo. Durante la narrazione, il giocatore sarà accompagnato per una via di riflessione che include vari aspetti, di cui il primo è sicuramente la transizione e le difficoltà di chi vive in un involucro che non sente suo, con annesse perplessità, paure e discriminazioni ricevute sia in famiglia, che nella cerchia di amici e conoscenti, ma anche e soprattutto dalla società. Perché malgrado le idee balenghe di qualcuno bisognoso d’attenzioni, non esiste alcuna “lobby gay”, ma esistono molte persone che vorrebbero essere rispettate per ciò che sono e a cui non basta il recinto televisivo (dove gli si chiede di interpretare il ruolo di pagliacci) per dirsi sufficientemente rispettati e rappresentati dalle istituzioni: insomma, piazzare una persona omosessuale al Grande Fratello non è niente in confronto alla parità di diritti.
Un altro tema fondamentale, ma che per assurdo viene affrontato davvero di rado, è il contraccolpo: l’analisi dello stato d’animo di chi scopre e sta vicino a una persona intenzionata ad affrontare una transizione (o più banalmente, di chi dichiara la propria omosessualità). Nonostante sia facile e logico stringersi nelle spalle nel momento in cui altri si scoprono amici, familiari, fratelli o genitori di qualcuno che dovrà affrontare una transizione o dovrà affrontare questa società, dove la discriminazione in base all’orientamento sessuale avviene ogni giorno, c’è il dramma interiore di “chi resta”. Da questo punto di vista, il personaggio di Alyson non si dimostra particolarmente toccato, quindi la sua esperienza è insufficiente a rappresentare lo stato d’animo di chi deve trovare un modo per accettare in fretta una realtà che credeva essere ormai definita: nessuna discriminazione, nessun boccone amaro da mandare giù, ma il capire e l’accettare con serenità che ciò che credevamo essere in un modo è semplicemente in un altro. Tutto qua, con naturalezza. Ma simili realtà sono difficili da replicare, perché il centro dell’attenzione lo prende (giustamente) il soggetto che dichiara il proprio orientamento o colui che dichiara di voler diventare finalmente se stesso, perché anche la natura sbaglia. Quindi, da parte dei creatori c’è stata la chiara volontà di raccontare una Alyson che ha maturato idee e pensieri a riguardo e che, per assurdo, lo ha fatto già in tenera età; ma purtroppo, per forza di cose, si ritrova incapace di rappresentare le difficoltà interiori di chi deve maturare all’improvviso e in fretta, pena la perdita dell’amato amico, fratello o parente.
Infine, malgrado l’amore romantico c’entri poco in questa storia, l’amore genitoriale viene affrontato spesso e con una delicatezza che davvero stupisce. I creatori di Tell me why sono riusciti a costruire una serie di situazioni coerenti e logiche, dove la sensatezza psicologica viene servita con semplicità anche allo spettatore più difficile. Raccontando a mo’ di fiaba, Tell me why narra la storia di una principessa guerriera, ma guerriera per davvero; non di quelle signorine che affrontano qualche difficoltà della vita e si atteggiano a sopravvissute. La principessa di Tell me why è un scrigno bellissimo ma sigillato, che racchiude una quantità di sofferenze insopportabili per un cuore solo. E da qui, dal dolore, tutto diventa fiaba: la povertà diventa nube, le minacce sono orchi, ombre e animali cattivi e i vicini di casa si trasformano in alci, orsi e papere parlanti. Il tutto è partorito da una mente eccezionalmente sopraffina e da un animo ferito, che fa la parafrasi della realtà per poter dimenticare. O per andare avanti.

In conclusione, Tell me why è un videogame che vale la pena di giocare e non per l’esperienza di gioco in sé, che non è minimamente paragonabile ai mostri sacri del momento, come The Last of us, con cui però condivide la stessa profondità emotiva. Bensì, proprio per quest’ultima: Tell me why permette di riflette su alcuni aspetti e da queste riflessioni, il gioco sa e può emozionare.

Sara C.

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