Libri: Nika – La schiavitù del silenzio, di Chiara Casalini

Secondo alcuni, il cambiamento radicale è del tutto impossibile: le caratteristiche peculiari di certi soggetti sopravvivono a eventi e influenze positive e/o negative. Nessuna mutazione profonda quindi, bensì un’influenza dei comportamenti che può essere momentanea o duratura. Secondo altri, invece, il cambiamento è possibile, frequente e spesso innescato dalle stesse persone e influenze che si incontrano durante il normale svolgimento della vita.
Dove sta la verità?
Forse, il segreto dell’umanità non è da ricercare nella dicotomia tra chi ringrazia lo spirito di conservazione e chi, invece, pone l’accento sulla capacità di stravolgimento totale. Forse, quello che permette all’umanità di sopravvivere al tempo che passa è ciò che (molto in fondo) ci accumuna ai virus: la capacità di adattamento, il saper modificare se stessi per potersi preservare nel momento in cui la propria esistenza viene messa a rischio. Quindi l’andare avanti, la sopravvivenza a fatti spiacevoli e persone tossiche, lo stivare esperienze utili a maturare, non è nient’altro che il prevedibile, a tratti banale, ma anche visceralmente legittimo, attaccamento alla vita.
L’uomo non cambia, evolve in una versione migliorata di sé: più consapevole, intelligente, empatica e accorta della precedente.

Nota a margine. Ricordiamoci che la recensione è uno strumento importante, perché aiuta il possibile acquirente a farsi un’idea riguardante il prodotto: infatti, una buona recensione può dissuadere o invogliare all’acquisto.
Il destinatario prima di qualsiasi recensione è colui che spende (soldi e/o tempo), ossia il lettore, lo spettatore o chiunque altro si avvalga di giudizi terzi per saperne di più.

Autore: Chiara Casalini
Titolo: Nika – La schiavitù del silenzio
Editore: Dark Zone

Perché mettere in correlazione lo spirito d’adattamento e un libro di narrativa che parla dell’ennesima brutta storia di violenza? Il motivo è chiaro nel momento in cui si giunge al fulcro della trama, al senso per cui il suddetto libro è stato scritto. Parliamo di “Nika – La schiavitù del silenzio” di Chiara Casalini, edito da Dark Zone Edizioni.
Per chi conosce i precedenti lavori dell’autrice, l’effetto sorpresa non ci sarà, perché i temi che è solita trattare ruotano sempre (e dichiaratamente) intorno a storie di donne maltrattate, violate e costrette a essere qualcosa che in realtà non sono: disponibili, non pensanti o magari, come in questo caso, sottomesse. Considerando il numero spaventosamente alto dei femminicidi, ossia quegli omicidi aggravati dalla convinzione che le donne siano in qualche modo inferiori all’uomo, l’impegno della scrittrice è ammirevole, perché atto a sensibilizzare i lettori verso un’emergenza sociale che miete vittime anche all’interno di quegli stati ritenuti civili, democratici… per farla breve, occidentali.

Al netto della morale del racconto, che non è particolarmente articolato nella vicenda, ma che invece si concentra nel descrivere e arricchire di dettagli il mutamento e l’evoluzione della protagonista, il vero pregio di “Nika” è la fluidità con cui il testo procede senza alcun intoppo particolare. Il merito di ciò è da attribuire all’autrice che, nonostante il cambio di editore (Astro – Dark Zone), ha mantenuto la consapevolezza di chi sa perfettamente cosa sta facendo e cosa vuole ottenere da ogni singolo personaggio, dialogo, descrizione e avanzamento narrativo.
Non vi sono incertezze stilistiche, bensì una capacità di adattamento che traghetta e accompagna il lettore di sequenza in sequenza, in modo lineare, coerente e affidabile. Seppur si tratti di sezioni profondamente diverse tra loro, perché hanno per oggetto la progressione emotiva e psicologica della protagonista, l’autrice riesce ad adattare la penna a ognuna di esse, pur restando fedele al proprio “modo di fare le cose”: nella piccola e media editoria è difficile trovare scrittori con un’identità stilistica così marcata, netta, personale. Uno degli esempi più lampanti lo troviamo proprio in “Nika”: trattandosi di un racconto sviluppato nell’ambiente musicale, è stato bizzarro trovare i testi di alcune canzoni esposti in doppia colonna, inglese – italiano. Le macro-descrizioni, spesso superflue ma anche armonizzanti, vengono meno per lasciare posto a trovate come questa, che descrivono appieno lo stile proprio dell’autrice.

Come detto in precedenza, lo scritto è facilmente suddivisibile in sezioni e queste seguono l’evoluzione del personaggio della cantante Nika, ex Veronica, presentata fin da subito come una donna bella, forte, trasgressiva e disinibita. Ovviamente, anche il lettore meno esperto giunge alla conclusione che tale estroversione è figlia di un passato pesante, difficile da dimenticare e infatti, la giovane racconta di una relazione disfunzionale, tossica, fatta di violenze fisiche e psicologiche, ma soprattutto di sottomissione estrema, al limite della schiavitù.
Il tema è davvero spinoso, ma l’autrice sa metterlo di lato (forse anche un po’ troppo, a volte) per mostrare al lettore quanto sia importante ripagare la violenza con la dolcezza, i traumi con l’affetto sincero, la solitudine con la famiglia. È proprio questo che lo scritto trasmette nella lunga, lunghissima parte centrale, quella in cui Nika viene accudita, matura ed evolve nella versione migliorata di sé: a contrario delle mode bimbominchia del momento, dove cinismo e misantropia si mischiano per dare forma a esseri umani volutamente ibridi a causa della pochezza delle loro anime, è la famiglia (intesa come cuore, non come sangue) a rappresentare la base solida da cui partire a costruire se stessi. Perché tutti siamo più sicuri se la famiglia è con noi. Perché tutti abbiamo più possibilità di essere sereni, felici, se vicini a chi ci ama e a chi amiamo. Perché siamo veramente noi, nel profondo, quando la famiglia vera è con noi. Inconsciamente o no, la scrittrice presenta una protagonista imbastardita dal passato e fatta evolvere in un soggetto libero grazie all’amore del gruppo, della band metal Midcrime e del suo componente di spicco, Black. Sorvolando sul filo rosso che lega quest’ultimo a Nika, è proprio il branco (per una volta, inteso in senso positivo) a rappresentare quel muro di cinta di cui Nika è oggetto e collante allo stesso tempo.
Ovviamente, dilungandosi un po’ troppo nella quotidianità di una ex vittima di schiavitù, il racconto giunge a un punto di snodo fondamentale in cui la psiche di Nika… anzi, di Veronica, deve scegliere se restare imprigionata nel passato o se andare avanti verso il futuro. La riflessione che innesca tale scena finale è quella che dovrebbero fare tutti i feriti del mondo: barricarsi dietro il proprio dolore è una scelta, nessun essere umano maturo sceglie consapevolmente di rinunciare alla propria libertà e di restare chiuso in una prigione le cui sbarre sono fatte di reminiscenze, dolore e paure. Arriva un momento in cui è l’anima a chiedere di salire di livello, di elevarsi, di evolversi nella versione migliorata di sé ed è in quell’attimo in cui si smette di esibire le ferite che sanguinano, perché si capisce che il sangue che cola non è esperienza, ma l’immaturità di chi non è mai andato avanti. Di chi non è mai più stato libero. Di chi sceglie consapevolmente di non essere libero, mai più.

Dato che la perfezione appartiene a non si sa bene chi e cosa, anche “Nika” ha delle zone d’ombra, come la rapidità con cui la protagonista torna ad essere Veronica nell’esatto momento in cui la dolcezza di Black la sfiora. Per chi combatte attivamente la stessa battaglia culturale dell’autrice (perché di questo parliamo), ciò rappresenta solo l’ennesima dimostrazione di quanto l’amore sappia includere e guarire ciò che gli si sottopone bastardo e fatto a pezzi: una specie di kintsugi dove l’oro è simboleggiato dal sentimento più puro e profondo. Altra ombra è la pazienza che l’autrice chiede al lettore sul finale del racconto, quando la necessità liberatoria di fare giustizia (fisica) viene soppiantata da una situazione di contrasto troppo ferma, troppo delicata dal punto di vista psicologico, per sfociare in una vendetta che spesso non giova a nessuna delle parti.

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