Film: Serpico (1973)

A guardar bene la locandina di Serpico, film poliziesco del 1973, si finisce col pensare che Al Pacino si divertisse a scimmiottare uno tra Sylvester Stallone o Tomas Milian. In verità, la moda dell’epoca imponeva a tutti la barba da scappato di casa, capelli mai più tagliati dalla prima comunione e infradito pure d’inverno: d’altronde, il ’68 non era così lontano. La somiglianza tra il protagonista di Rocky e Alfredo James Pacino -chiamarlo così è orgasmico- è innegabile e se non fosse stato per la bassa statura e la totale assenza di spalle di quest’ultimo, avrei proseguito con la visione del film convinta di guardare un film di Sly. Come attenuante c’è la voce dello straordinario Ferruccio Amendola, che fu doppiatore fisso sia di Stallone che Milian e si alternò a Giancarlo Giannini per Al Pacino. Perle come Scarface e la trilogia de Il padrino hanno segnato così tanto lo spettatore, che il volto del giovane Alfredo lo associamo al timbro inconfondibile di Amendola: insomma, c’ero quasi.
Concludo in bellezza confermando ciò che ho sempre sostenuto, ossia, che l’uomo con più cerchi nel fusto è qualcosa di straordinario e il Pacino di inizio carriera è uno spettacolo per gli occhi.

Serpico è un film di Sidney Lumet, il cui soggetto è firmato da Peter Maas, giornalista e scrittore che nel 1973 pubblicò la biografia dell’agente di polizia Frank Serpico. Quest’ultimo divenne noto per aver denunciato la corruzione dell’intero dipartimento di New York, dove gli agenti erano soliti intascare mazzette per arrotondare lo stipendio. Il sistema corrotto e malato si estendeva dai piani bassi a quelli alti e toccava tutti i distretti in cui Serpico prese servizio: un’infezione talmente generalizzata e abituale da essere diventa un sistema economico sottocutaneo, che permetteva case, scommesse, viaggi e rette universitarie.
Nel film, uno stalloniano Al Pacino veste i panni dell’agente Frank Serpico, un uomo incorruttibile, pieno di valore e totalmente innamorato del proprio lavoro. Infatti, nell’opera di Maas e un po’ meno in quella di Lumet, viene dato spazio all’ammirazione che il piccolo Frank ha per gli uomini in divisa, ossia, quelli salvavano delle vite e riportavano la sicurezza nel quartiere. In lui non c’è quella fissazione per l’ordine e la disciplina che, invece, accomuna alcuni degli altri e che li spinge ad eccedere con la violenza per il raggiungimento dello scopo. Frank Serpico è un agente di valore, in grado di cercare il giusto compromesso prima di attuare il regolamento: è un uomo in divisa, un essere umano con un compito e non soldato che attacca e difende. Tutto ciò si sposa con una personalità delicata e curiosa, sincera e pulita fino alla viscere, interessata a conoscere il diverso e allo stesso tempo legata ai valori delle origini. Frank legge molto e ama il balletto, non denigra i delinquenti in base al colore della pelle, non guarda i vestiti di chi gli sta di fronte, ma nel momento in cui l’amata Leslie si rivela figlia libertina di quel ’68 non troppo lontano (comunica che sposerà uno sconosciuto, nonostante fosse impegnata con il protagonista) lui la lascia. E giustamente, perché al di là dello steccato c’è Laurie, la donna che resta vicino a Serpico durante il periodo più difficile della sua vita e che per questo verrà distrutta e rigettata dal dolore e dalla voglia di rivalsa dello stesso Frank. L’agente si affida a varie cariche della polizia per intraprendere un’indagine approfondita, ma tutti sembrano essere coinvolti e ogni nuova speranza si conclude con un nuovo trasferimento, un nuovo adattamento e la stessa solita corruzione.

La regia di Lumet è particolare, perché il film viene prodotto all’inizio degli anni ’70, ma mantiene alcune caratteristiche del decennio precedente: basti pensare ai primi piani doppi e ingannatori usati nei film giallo di qualche anno prima, dove il soggetto più vicino alla camera sembra essere quello principale, ma in realtà distoglie l’attenzione da ciò che vi è sullo sfondo e che rappresenta il vero oggetto della scena. E’ curioso ritrovare effetti come questi in un film “moderno”, perché nell’immaginario collettivo è più facile immaginare un simile taglio in una storia di Hitchcock che in un poliziesco con Al Pacino.
La trama procede in maniera lineare, ma l’armonia viene sacrificata proprio per seguire la vicenda centrale e lo si fa attraverso dei salti temporali che non permettono di familiarizzare con ciò che fa da sfondo alla figura di Serpico, che ogni volta è calato in un contesto differente rispetto al precedente. Le donne, le situazioni, i comportamenti si avvicendano e mutano di salto in salto e ogni quarto d’ora, lo spettatore è costretto a riprendere familiarità con i nuovi colleghi e il nuovo status del protagonista. Questa era una tecnica abbastanza frequente nei prodotti anni ’70, che permetteva al regista di far scorrere il tempo velocemente e giustificare così l’intensità delle emozioni e i cambiamenti materiali che succedono al personaggio principale. E’ un po’ caotico, ma la straordinaria bravura di Pacino (che in quegli anni viveva il grande successo de Il padrino e de Lo spaventapasseri) permette di bypassare in fretta per approdare a un sentimento di familiarità ed empatia nei confronti dell’agente Serpico. Infatti, è proprio grazie alla sua interpretazione che lo spettatore si ritrova sentire il vivo sconforto del protagonista, la sua stessa frustrazione, la voglia di abbandonare la società corrotta a un destino di inevitabile autodistruzione.
Pacino riesce a incarnare Frank Serpico in maniera credibile, perché riesce a mostrare la trasformazione di un lavoratore onesto in un martire poco interessato a divenire tale. Malgrado gli innumerevoli salti temporali, riesce a far pesare sullo spettatore l’isolamento, il pregiudizio causato dal proprio aspetto, il tentativo di corruzione continua, la ricerca della giustizia e la totale desolazione finale che poi spinse il vero Serpico a lasciare la polizia e viaggiare in giro per il mondo.

Insomma, nonostante l’estro del regista Sidney Lumet, Serpico è davvero un buon film, che sta in piedi grazie a una trama capace di far leva sull’empatia dello spettatore e sull’interpretazione magistrale di Al Pacino, che per questo lavoro venne candidato all’Oscar come Miglior Attore protagonista per la seconda volta.
Vero è che nulla di tutto ciò sarebbe potuto esistere senza l’agente Serpico originale, colui che ha cercato di difendere l’onorabilità della polizia appellandosi alla giustizia e che per difendere entrambi, attirò minacce, intimidazioni e calunnie. E come se non bastasse, la notte del 3 febbraio 1971, restò ferito in una sparatoria nel pieno svolgimento di un’azione di polizia, rischiando la vita e restando sordo all’orecchio destro.

Sara C.

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