ArtRead: Il mito di Eco e Narciso

Ogni tanto mi occupo di bambini e capita spesso che li aiuti nei compiti. Ora, sorvolando su quanto possa sembrare assurdo a chiunque mi conosca, la cosa mi piace per due motivi diversi:
– i ragazzi sono curiosi. Secondo me, la curiosità è la benzina dell’evoluzione, perché rappresenta il coraggio e la predisposizione a compiere un passo verso l’ignoto, verso ciò che non possiamo prevedere in alcun modo. Gli adolescenti sono aperti a qualsiasi situazione e questa disponibilità è figlia della loro condizione di inesperti della vita: di solito, chi meno conosce è più portato a sporgersi, a provare cose nuove; invece, chi ha conosciuto abbastanza in passato, al punto di incappare in delusioni o dolori, ha la voglia di scoprire (ma già solo di tentare) piantata sotto la suola delle scarpe.
Insomma, a differenza degli adulti, i ragazzi sono curiosi perché non conoscono il dolore e quindi, hanno il coraggio di fare il primo passo.
– studiare con loro mi permette di ricordare cose che non sapevo di sapere; ad esempio, quella che sto per raccontarvi.
Ho sempre amato i miti greci. Sono una collezionista nell’anima e quindi, l’idea di avere una divinità per ogni aspetto della vita mi ha sempre affascinata. Eppure, proprio l’altro giorno mi sono imbattuta in un racconto mitologico dove gli Dei c’entrano poco, perché i protagonisti sono una ninfa sfortunata e un cacciatore un po’ imbecille… perché alla fin fine gli uomini sono così: gli indichi la luna e loro ti guardano il dito.

Umberto Curi

Dall’incontro tra le liquide e vorticose braccia del fiume Cefiso e quelle della leggiadra e delicata Ninfa Lirìope nacque Narciso, che rivelò, fin dai primi anni, lineamenti di rara bellezza e armonia.
Era stato l’indovino Tiresia, consultato da Lirìope, a predire il futuro del bambino:
«Narciso vivrà a lungo, purché non veda mai se stesso».
Presto il bambino divenne giovinetto, consapevole della propria bellezza e del fascino emanato dalla sua persona, e inutilmente ammiratrici e amanti cercarono di conquistare il suo cuore, che sembrava rimanere indifferente e chiuso in se stesso.
Narciso respingeva chi si innamorava di lui, come se fosse geloso della propria avvenenza, che non intendeva dividere con nessuno.
Tra i cuori rapiti dal bel Narciso ci fu anche quello della Ninfa Eco, affascinata dalla naturalezza con la quale il giovane si muoveva, baldanzoso e sicuro di sé. Eco avrebbe voluto svelare a Narciso il suo amore caldo e bruciante e trovare le parole capaci di toccare le corde più profonde del suo cuore. Ma sapeva che le parole erano destinate a restarle in gola, senza poter dare voce al sentimento che l’agitava.
Infatti la Ninfa era stata punita severamente dalla dea Era. Eco aveva avuto il torto di aver distratto la dea raccontandole con la sua voce armoniosa favole e storie incantate. In tal modo Eco aveva permesso al marito di Era, Zeus, di tradirla appartandosi con le Ninfe di montagna. La dea si era infuriata con Eco e aveva decretato che la fanciulla non avrebbe più potuto servirsi della sua voce, se non per ripetere stupidamente le ultime parole pronunciate da qualcun altro.
Un giorno Eco decise di seguire Narciso, che si inoltrò agilmente in una foresta impenetrabile, sulle tracce di un branco di cervi ai quali stava dando la caccia. Nascondendosi nell’intrico degli alberi frondosi, Eco tratteneva il respiro e ascoltava i battiti del suo cuore in tumulto.
Narciso si sarebbe finalmente accorto di lei? L’avrebbe aiutata a rivelare e a gridare il suo amore? Eco rimase immobile, osservando il suo amato che con gesti precisi e misurati tendeva trappole ai cervi nel bosco.
Per vedere meglio tra il fitto fogliame, Eco ruppe un ramo secco. Narciso udì il rumore e guardò in quella direzione.
«Chi è là, c’è qualcuno?» gridò il giovane mentre si avvicinava al nascondiglio di Eco.
«…qualcuno!» rispose Eco, costretta a ripetere le sue ultime parole.
«E allora, vieni!» esclamò il giovane.
«… vieni!» echeggiò la voce della Ninfa.
Narciso continuò a fare domande, tra il curioso e l’irritato.
«Mostrati dunque, che tu sia un mortale o un dio!».
«… io».
«Perché ti nascondi, possiamo guardarci negli occhi, senza alcun timore. E allora, cosa aspettiamo?»
«… amo».
A quel punto Narciso ruppe gli indugi e a grandi passi si avvicinò al luogo da cui proveniva la voce. Tra i cespugli comparve una fanciulla dai lunghi capelli che lo guardava e gli tendeva le braccia.
Resosi conto delle sue intenzioni, Narciso la respinse in modo brusco, allontanandola da sé.
«Vattene, io non ti conosco e non so che farmene delle tue carezze e dei tuoi baci. Non ho bisogno di te, né di nessun’altra».
E così dicendo, se ne andò, altero e sdegnato, senza neppure voltarsi indietro.
Eco sentì una stretta al cuore. Era riuscita finalmente ad avvicinare Narciso e persino a parlargli, ma lui l’aveva rifiutata duramente.
Lamentando la sua triste sorte, prese a vagare per luoghi solitari, continuando a provare per Narciso un amore ardente e disperato.
Errando per valli aspre e impervie si rifugiò negli anfratti delle grotte e nei pozzi profondi, cercando invano di sfuggire al suo dolore. Il rimpianto e lo struggimento la consumavano lentamente, fin quando poco a poco di lei non rimase che la voce, condannata a ripetere le parole degli uomini.
Narciso intanto continuò a lasciarsi alle spalle spasimanti che subivano i suoi rifiuti, finché la dea Nèmesi punì la sua arroganza facendo sì che fosse proprio Narciso a innamorarsi, senza però poter soddisfare la propria passione.
Un giorno, dopo aver a lungo camminato, Narciso si fermò sulla riva di una fonte di acqua pura e cristallina. Mentre placava la sua sete, il giovane vide un’immagine riflessa sulla superficie dell’acqua appena increspata.
Si sentì invadere da un acuto desiderio di abbracciare quel volto attraente e armonioso, e rimase a contemplarlo estasiato, finché nella figura riflessa vide per la prima volta se stesso, riconoscendosi.
L’oggetto dell’amore profondo che l’aveva invaso era lì, davanti ai suoi occhi, così vicino ma al tempo stesso così lontano e irraggiungibile.
A lungo restò a contemplare quell’immagine, finché, roso dal tumulto che tale vista gli provocava, non potendo soddisfare pienamente l’amore, emise un grido e con gli occhi piedi di lacrime si trafisse con un pugnale.
Il sangue zampillò copioso sul terreno e inzuppò l’erba tutto intorno. Sulla terra umida, sulla quale il corpo del giovane era caduto, nacque un fiore di rara bellezza, dalla rossa corolla e dai petali bianchi. Un fiore che ancora oggi è chiamato Narciso.

*

Tu gli indichi la luna e lui guarda il dito.
Sorvolando sulla conclusione drammatica della storia, Narciso è totalmente preso da se stesso e se volessimo trasferirlo nel presente, troveremmo decine e decine di esseri umani come lui, ma tutti sotto copertura. Narcisisti convinti che tutto ciò che li riguardi venga prima di quello che riguarda gli altri: il mio dolore è più profondo del tuo, i miei problemi sono più gravi dei tuoi, il mio amore è più puro del tuo. Tutto Io, solo Io, sempre Io, tu non esisti. Perché oggi il narcisista non è più il belloccio che si lascia alle spalle una schiera di ammiratrici, ma un soggetto abbietto, egoista e tossico, che non capisce (o non vuole capire) il male che fa. Troppa responsabilità, troppa poca voglia di ammettere di sbagliare. Troppa poca voglia di maturare, perché crescere vuol dire prendere sulle proprie spalle il peso delle responsabilità della vita.
In verità, tutto ciò non è solo una brutta caratteristica di qualcuno: per certi, anzi molti, è patologia. Si chiama “Disturbo Narcisistico della Personalità” e consiste nell’egocentrismo patologico e nell’assoluta mancanza di empatia. Il soggetto che ne soffre ha bisogno di essere nutrito e il suo nutrimento sono le attenzioni altrui, vicine o lontane che siano; non vi sono sentimenti o emozioni, ma soltanto fonti di energia a cui attingere. Gli amici, il partner e per certi, anche i figli, sono solo batterie pronte a fornire la giusta dose di carica a soggetti che -senza cibo- morirebbero. Ovviamente, esistono vari tipi di narcisista patologico, ma sono due le tipologie più diffuse:
Narcisista overt, che ha un’autostima elevata e una bassa capacità di gestire (e accettare) le critiche. E’ sicuro, mantiene gli altri a debita distanza perché nessuno può essere ed è alla sua altezza. Superficiale e arido, il tipo overt è vicino alla figura descritta da Ovidio.
Narcisista covert, che per certi versi è il più abbietto. Si tratta di un soggetto abituato a rimuginare, sensibile alle critiche e con scarsa autostima, che vive profondi stati d’ansia e di depressione. A contrario del tipo overt, il narcisista covert si presenta volontariamente e consapevolmente come una persona garbata, timida e riservata, ma questo comportamento è una trappola: serve per catturare la preda che diventerà “cibo fresco” per l’ego. Quest’ultimo, il narcisista covert lo tiene gelosamente per sé, perché avendo sofferto in passato, ora non è più disposto a decantare le proprie lodi prima di aver raggiunto dei risultati. Questo tipo di narcisista è più subdolo e pericoloso del precedente, perché si insinua vigliaccamente nei cuori delle persone sane e le annichilisce, riducendole a cibo per il proprio ego. Una fonte di approvvigionamento che, se basata sull’amore o il legame parentale, è quasi inesauribile: fuggire dal narcisista (di qualsiasi tipo) e riprendere in mano la propria vita, attuando il no-contact, è per eroi veri.
Il disturbo narcisistico di personalità è una malattia grave e chi ne resta vittima, come la sottoscritta, ne porta i segni per il resto della vita.

Ed Eco? Eco non può esprimere sé stessa e più che l’amore di Narciso, è proprio questo che dovrebbe rimpiangere. Per cui dovrebbe addolorarsi.
Perché alla fine non conta se l’amore vada in porto oppure no; conta essere stati se stessi in qualsiasi momento. Se ci perdiamo negli abissi altrui, dimenticando la nostra voce… finiremo in una foresta infinita, che è pari alla dannazione eterna. E nessuno lo merita.

Ecco perché mi piacciono i ragazzini: sono curiosi.

Sara C.

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