ArtDraw: Il teschio di Goya

Il sonno della ragione genera mostri, doveva essere questo il frontespizio della raccolta di incisioni “Los Caprichos” di Francisco Goya, pubblicata nel 1799. Alla fine, venne spostata all’interno e sostituita con un autoritratto di profilo dell’artista, con sguardo obliquo e cappello a cilindro sulla testa, come gli intellettuali liberali dell’epoca.
La raccolta era assai diversa dai suoi soliti lavori, perché Goya non era un pittore come gli altri: lui era il pittore del re. Comunque, non è questo a renderlo speciale al punto di tramandare la sua storia. Anche le sue opere, che degne di nota lo sono di sicuro, non sono l’oggetto di questo approfondimento che, invece, è legato all’esistenza duale dell’artista: da un lato, la realizzazione professionale ed economica -raggiunta grazie alla vita di corte- e dall’altro, una ribellione intellettuale che trova ne Los Caprichos la raffigurazione più centrata ed alta. Da tale contrapposizione prende vita lo spirito di un artista capace di attirare a sé uno dei più grandi misteri dell’arte, posto in essere dalle stesse dalle qualità intellettuali, filosofiche e artistiche dello stesso Goya.

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La famiglia di Carlo IV

Francisco Goya nasce il 30 marzo 1746 a Fuendetodos, nei pressi di Saragozza, da padre doratore e madre borghese. Inizia la carriera d’apprendista all’età di 13 anni, dipingendo scene di vita di paese, fiere e feste; poi, arriva il trasferimento a Madrid nel 1763 e i primi lavori su commissione, come ritratti e paesaggi. Nel corso degli anni, lo stile pulito ma ricco, per certi versi precursore del Romanticismo ottocentesco, gli regala così tanta popolarità da riuscire ad attirare l’attenzione della famiglia reale spagnola e infatti, nel 1775, a 43 anni, viene nominato pittore di camera del re: ha l’incarico di dipingere le rappresentazioni ufficiali dei regnanti spagnoli.
La presenza a corte gli vale notevole prestigio, per questo Goya riceve proposte da piazze importanti come quella di Roma, dove si trasferisce nel 1770. Fa ritorno a Saragozza solo un anno dopo, a causa di un crimine commesso in quel della capitale: rapì una giovane di Trastevere, rinchiusa in convento dai familiari contro la sua volontà.


Arrivato all’apice della propria carriera, Goya viene colto da un malore mai chiarito (forse sifilide o forse, un brutale ictus), così diventa sordo in via permanente, cieco per un periodo e con notevoli difficoltà di movimento. Influenzato dai venti di libertà che soffiano sull’Europa, grazie allo scoppio della Rivoluzione Francese, l’artista perde fiducia nella monarchia e nell’alta classe dirigente e precipitato nel silenzio più assoluto, scopre il lato oscuro degli esseri umani.
Si isola, sviluppa un senso critico aspro e contorto indirizzato sia alla nobiltà che ai ceti popolari, di cui schernisce l’ignoranza: ricordiamo che Francisco Goya anticipa lo stile pittorico del Romanticismo, ma vive nell’Illuminismo e nell’epoca dei lumi, essere al buio equivale a vivere ancora nel Medioevo. La dualità ideologica dell’artista si scaglia contro tutto e tutti, dalla casata reale spagnola ai contadini nei campi, e in lui cresce un forte sentimento di frustrazione e ribellione, che affronta con l’analisi dei pensieri umani… che fanno più paura di qualsiasi altro mostro di fantasia. Tali pensieri, chiamati prima sogni e poi capricci, vanno a comporre la raccolta Los Caprichos.
Parlando all’amico di sempre, nel 1849, –Martin Zapater– Goya scrive:

… dal principio mi sono stordito con tutte queste cose, ma ora ho smesso di avere paura delle streghe, gli spiriti, i fantasmi e i giganti fanfaroni, dei poltroni, dei malandrini, di chicchessia. Non ho paura di nulla e di nessuno, eccezion fatta per gli umani“.

Francisco Goya muore a Bordeaux il 16 aprile 1828, ma il vero mistero inizia proprio dal cimitero in cui l’artista spagnolo è sepolto. Nella giornata del 16 novembre 1888, a sessant’anni dalla morte di Goya, sette uomini stanno scoperchiando la sua tomba: le lapidi che la ricoprono sono pesanti e ci sono volute una decina di braccia forti per sollevare le lastre di marmo. Non si tratta di semplici addetti al mausoleo, ma di funzionari di stato che stanno cercando di portare avanti una richiesta formale: il recupero e il rimpatrio delle spoglie dell’artista Francisco Goya. Il pittore è considerato orgoglio nazionale, per questo nel cimitero ci sono il Console spagnolo Pereyra e il suo cancelliere, un funzionario delle forze dell’ordine e due testimoni, ma nessuno di loro immagina quel che avviene di lì a poco. Scoperchiata la tomba, i resti di Goya portano alla luce un fatto spiacevole quanto inquietante: il teschio è scomparso.

Le spoglie di Goya restano in Francia fino al 1899, quando vengono prelevate e riportate in patria in occasione del centenario della nascita di Diego Velázquez e da lì, riposano nella cappella San Antonio de la Florida a Madrid.
Il teschio diventa oggetto di congetture e ipotesi, alcune più fantasiose di altre, ma non viene mai più trovato. Nel 1928, riappare misteriosamente come soggetto del dipinto a olio “Cràneo de Goya, pintado por Fierros“/”Cranio di Goya, dipinto da Fierros” di Dioniso Fierros, datato 1849: ventun’anni dopo la morte di Goya e quarant’anni prima della riapertura della tomba.
Con il passare del tempo, le tesi più accreditate restarono in due:
– con il consenso dell’artista, il teschio fu prelevato dal suo medico personale Laffargue per smontare le tesi della Frenologia;
– a sottrarre il teschio furono Dionisio Fierros, il marchese Di San Adrián (che firma il quadro ritrovato nel 1928) e Marià Cubì, linguista e frenologo.
Se la prima tesi indica un ignoto ospedale parigino come detentore attuale del teschio, l’ultima venne sposata anche dallo storico e critico d’arte Juan A. Gaya Nuño, nel libro “La orripilante storia del teschio di Goya“. Tra le pagine, Nuño si dice convinto del movente dei tre, il quale era riconducibile alla goliardia nel caso del marchese di San Adrián (ricco e annoiato), all’ammirazione ossessiva da parte di Fierros e al bisogno di prove scientifiche atte a dimostrare le tesi di Cubì sulla Frenologia; una delle pseudoscienze più in voga in quegli anni, atta a dimostrare la correlazione tra la forma del cranio e le caratteristiche personali dell’individuo. In nome di questa presunta scienza, due studiosi americani inventarono lo Psicografo, un casco che appoggiato alla testa avrebbe dovuto misurare le capacità mentali del paziente.
A sostegno di questa tesi, c’è la voce che vuole il figlio di Fierros studente di medicina e possessore di un teschio umano da impiegare negli esperimenti discussi in facoltà: tra questi, quello della pressione generata dalla forza germinatrice, che a detta dell’insegnante di anatomia ha la capacità di disintegrare le ossa di un cranio umano. A causa di tale esperimento, il teschio di Goya andò distrutto.

Ovviamente, la teoria sulla Frenologia si rivelò falsa e l’ipotesi riguardante il sacrilegio della tomba di Goya, ad opera di Fierros e compagni, fu impossibile da accertare. Con loro e con le altre innumerevoli (e inconsistenti) teorie sulla sparizione del teschio di Francisco Goya, il mistero è giunto sino a noi senza mai trovare soluzione.

Sara C.

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